Fare memoria di Pierluigi è cogliere in questi giorni spaventati dai conflitti alcuni fili, quelli che formano il dritto, del suo vestito, della sua personalità e opera. Il primo filo è il senso che ha dato alle sue fatiche e al compito affidatogli dal Padre di Gesù: di partecipare in modo attivo, responsabile e fraterno alla costruzione di una società più giusta e solidale. Pierluigi ha dedicato con scrupolo e radicalità il suo tempo e la sua fede a “stare” con gli ultimi e a condividere con loro questo grande progetto che è il Regno di Dio. L’autore dell’ultimo libro della Bibbia ci lascia scritto: “E udii una voce dal cielo che diceva: “Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Apocalisse 14, 13). Le opere continuano a parlare anche quando rimaniamo in silenzio e avvertiamo l’impotenza a modificare il pensiero e il comportamento abitudinario e conservativo delle strutture sociali ed ecclesiali.
È stato fedele alla scelta di scrutare la vita dall’osservatorio e luogo sociale degli ultimi, delle persone fragili ed emarginate. Il percorso umano, culturale e spirituale è incominciato a Tualis, in Carnia e si è aperto al mondo dei poveri, oppresso dai conflitti, esibiti o dimenticati. Lui lo ha radicalizzato e incarnato nella sua vita, nel pensiero, nelle scelte preferenziali degli ultimi e nella costruzione di un luogo concreto dove testimoniare tutto questo. La sua presenza e le visite solidali nei Paesi del mondo dove maggiori sono le contraddizioni dell’ingiustizia legalizzata sono stati il suo viatico sostanzioso per capire quanto avveniva in Friuli e nella nostra terra. Questo è quello che rimane con noi oltre la sua morte, più delle parole eloquenti che ha usato per “rivelare” ciò che è nascosto dalla propaganda interessata dei poteri.
La sua intuizione di “essere ospitale” con i nuovi venuti ci ha risvegliati come cittadini e credenti come la sentinella che ci allerta su quanto resta della notte (Isaia 21,11). La sua intuizione ha aggregato numerose persone, sensibili e attente alla Parola concreta del Vangelo e della cittadinanza attiva, per edificare una casa aperta dove dialogare con tutti e partecipare alla grande chiamata del tempo odierno sollecitato dalle sfide interculturali e dall’accoglienza dei fratelli e sorelle migranti. Questo rimarrà come seme nel nostro Friuli ormai globalizzato, che con fatica apre la propria casa ai fratelli e sorelle di società, culture e fedi diverse.
Il confronto con le persone, la cultura, la società, la politica, la realtà laicale della Chiesa diocesana è stato sempre propositivo, progettuale ed esigente. Anche questo segnato, come può essere diversamente, dalla sua personalità, spesso insofferente verso le chiusure delle strutture amministrative dello stato e le scelte pastorali della Chiesa udinese. Anche le pietre preziose hanno bisogno di essere estratte dal magma che le avvolge! Questi, però, al più sono condizioni creaturali, punti di partenza da cui inizia il nostro cammino di vita che va oltre i limiti percorsi. A noi e alla Chiesa udinese rimane il grato ricordo della sua persona ed esprimere con sincerità il ringraziamento al Signore per avercelo dato, nella certezza di raccogliere l’eredità affinché “nulla vada perduto” (Gv 6,12). L’eredità più duratura è la testimonianza della sua vita e, quindi: “Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone” (Ebrei 10, 24).
Don Luigi Gloazzo