Cari Missionari e Missionarie,
il saluto di Pasqua è accompagnato dalla preoccupazione e dalle lacrime dei poveri cristi vittime della guerra, come quello delle donne ai piedi della Croce, che piangono il loro amico Gesù. Non si può condividere l’orgia delle immagini e commenti, spesso compiaciuti e saputelli, che ci arrivano in continuazione dai media, perché incentivano l’abitudine alla violenza e alla morte senza farci procedere su un cammino consapevole di educazione alla pace attiva. La morte e la violenza non vanno mai esibite come spettacolo a persone sedute comodamente sulle poltrone! Purtroppo si è scivolati su un “compiacimento di stile letterario” del dramma della guerra. In più i media (in realtà i loro padroni) hanno dislocato in Ucraina giornalisti con coperture ininterrotte per esibire le conseguenze della violenza e della guerra per fare più audience. La Caritas italiana pubblica e aggiorna costantemente i dati sulle guerre “dimenticate”, quelle che non compaiono sui nostri schermi e quotidiani per una miopia congenita o indotta dai nostri stili di vita e scelte ideologiche.
Tutta l’umanità è sulla strada dell’Esodo in terra straniera e cerca di scorgere, magari solo da lontano, la Terra Promessa della libertà responsabile. La vita e la storia di tutta l’umanità è anche la nostra e i discepoli/credenti in Gesù sono inviati a rendere credibile e testimoniare l’universale chiamata all’unità di tutto il genere umano (Lumen Gentium 1). Le Chiese, la scuola, le Associazioni culturali, lo sport, gli Stati non fanno sperimentare con perseveranza questo faticoso percorso in salita, per cui nelle crisi si scivola sempre a fare ricorso a risposte scontate e sconsolate della violenza necessaria e delle armi.
Papa Francesco chiama l’uccisione delle persone “atto sacrilego”, perché “sacrifica” le persone umane agli idoli “fatti dalle mani dell’uomo”. e alle divinità pagane del dominio/potere, del profitto, del culto del più forte, dei confini (retoricamente chiamati sacri), delle ideologie, degli imperi: Gli idoli delle nazioni sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo (Salmo 135, 15). Ci dà speranza, come sempre, la visione di Isaia che con gli occhi penetranti nel futuro riconciliato assicurava: gli idoli spariranno del tutto (Isaia 2, 18).
È tempo di far crescere la cultura della pace crocifissa. Non regge una pace che nasce dal sacrificare gli altri, ma solo quella che ci dà il Signore Gesù. Lo diciamo in tutte le celebrazioni eucaristiche, ma non ci facciamo molto caso: “Vi lascio la pace, vi do la MIA pace. La pace che io vi do non è quella del mondo” (Giovanni 14, 27). Non era né la pax romana, i cui eserciti sottomettevano i popoli e la chiamavano pace, né quella dei cimiteri.
Gesù, di fronte alle domande sui fatti di cronaca nera, raccontati dall’evangelista Luca (13, 1-9), invitava tutti alla conversione, al cambio di mentalità, di ragionamenti e di stili di vita violenti. La Bibbia ci racconta in modo drammatico il dialogo tra Dio e Caino, che aveva ucciso il fratello Abele: “Dov’è tuo fratello?”. La sua risposta è un concentrato di irresponsabilità che attraversa tutta la storia umana: “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Genesi 4,9). Quando impareremo a rispondere: “Non temere, Padre! È qui in casa con me, anche se qualche volta la convivenza mi costa sangue!”.
Il tempo favorevole della Quaresima e della Pasqua è una opportunità per esercitarsi alle relazioni di pace. Sappiamo che la vita si svolge nel conflitto e la cultura e la fede ci educa alla risoluzione nonviolenta stando dentro (incarnazione) le relazioni difficili e talvolta semplificate nella polarizzazione tra bene e male. Guardando quanto avviene nell’Europa orientale, non favorisce la conversione personale, culturale e politica il tranciare con il coltello da macellaio colpe e responsabilità, peraltro evidenti. Possiamo ripartire proprio dal nostro cuore dove si trova la matrice della violenza nella storia/vita, assieme a quella della fraternità. Gesù non si è illuso sulla condizione della violenza nella vita, ma ha dato una risposta sola: ha portato il peso sulle sue spalle ed è stato ferito a morte dal pungiglione del peccato del mondo.
Noi chiamiamo Gesù Cristo con il titolo appropriato di “Principe della Pace”. Mai è stato così attuale chiamarlo così come in questa Pasqua segnata dalla morte sfacciata. Le campane suoneranno ancora nella veglia di Pasqua di Risurrezione, al Gloria, con rintocchi che risveglieranno la nostra anima, la festa del creato e la riconciliazione tra i popoli e i cuori. Noi le accompagneremo all’unisono con il canto: “Pace in terra agli uomini amati dal Signore!”.
Buona Pasqua.